Qualora sussista l’inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede, la conclusione non può essere che l’applicazione dell’art. 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970). Diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del citato art. 18, comma 6, del predetto Statuto che, nella sua nuova formulazione, è collegato alla violazione delle procedure di cui all’art. 7, della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 7 della legge n. 604 del 1966. In definitiva, la dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso, ricadente “ratione temporis” nella disciplina dell’art. 18della legge n. 300 del 1970, così come modificato dall’art. 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dall’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970.(Cass. civ. Sez. Unite, 27-12-2017, n. 30985)