L’indennizzo per ingiustificato arricchimento ha una funzione recuperatoria (tesa a compensare l’iniquità prodottasi mediante lo spostamento patrimoniale privo di giustificazione di fronte al diritto, sancendone la restituzione) e non corrispettiva (tesa a reintegrare il concreto ammontare del danno subito); ne consegue che l’esecutore di una prestazione in forza di un contratto invalido non può pretendere, per compensare la diminuzione patrimoniale subita, di ottenere quanto avrebbe percepito a titolo di utile se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace perché l’esigenza restitutoria che fonda l’istituto comunque non può neutralizzare l’inesistenza ovvero l’invalidità originaria o sopravvenuta di quel rapporto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva riconosciuto l’indennizzo nella misura dei prezziari regionali, inclusivi anche dell’utile di impresa e correlati al valore delle opere quali risultanti al momento della perizia a distanza di 25 anni dall’esecuzione di dette opere, così assicurando all’appaltatore il diritto ad ottenere il prezzo della sua controprestazione ragguagliato al valore onnicomprensivo e attualizzato delle opere). Cassazione civile, sez. II, 29 luglio 2024, n. 21138.